martedì 4 febbraio 2014

Dare - Blood from a stone

L’album rinnegato!!! Già, se si potesse porre la domanda di quale degli album registrati dai Dare è quello da mettere in disparte, il buon Darren Wharton sceglierebbe sicuramente il qui recensito “Blood from a stone”, e questo non perché il versante compositivo presente all’interno dei solchi di questo disco è da denigrare senza mezze misure, tutt’altro, ma soprattutto perché non rappresenta al 100% l’anima artistica del combo inglese.
Artefici di un debutto discografico da incorniciare, il celebrato “Out of the silence”, il secondo platter di casa Dare è il frutto di una “trasmutazione” artistica senza precedenti, figlia putativa delle pressioni, a volte davvero imbarazzanti, di una major, la A&M, che voleva trasformare i cinque nella next big sensation, cercando di collocarli all’interno di un mercato discografico reso orfano dalla dipartita dei Bon Jovi.
Registrato nella città degli angeli sotto la supervisione del guru Keith Olsen, le dieci tracce che fanno parte di questo disco, riescono ad associare con apparente disinvoltura, aperture che sanno di vetusto hard rock di nobile origine anglosassone, sensibilità radiofoniche, ed adeguati richiami al folk rock di artisti come gli stessi Thin Lizzy e Gary Moore, rese ancor più tangibili dallo splendido guitar work di un Vinny Burns, all’epoca ex Asia, sicuramente fulcro centrale dell’intero di un album che presenta un trittico iniziale da infarto sicuro formato da “Wings of fire/We don’t Need No Reason”, che mostrano modulazioni melodiche ammiccanti, chorus sbalorditivi e refrain al fulmicotone, l’hard rock melodico ed anthemico di “Cry wolf” e “Surrender”, che da sole potrebbero valere l’acquisto del platter in questione, avvalorato da brani pregni di un humus poetico come la soave “Lies” o la ballad “Real love”, marchiate a fuoco dall’interpretazione maiuscolo di un Darren Wharton sempre e comunque sugli scudi.
Era il 1991, la scarsa fiducia della band nelle proprie qualità espressive, coinciso con il successo planetario dei cugini di etichetta Soundgarden, causarono lo split, momentaneo, del combo in questione.
Un ottimo disco senza remore, da ascoltare con passione dalla prima all’ultima composizione, forse non rappresenta al meglio le potenzialità espresse dalla band negli anni futuri, ma come detto poc’anzi, non è per niente da denigrare…..
 (Beppe Diana)

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