“Prodighiamoci affinché non ci siano più muri fra di noi”!!!
Uno slogan da adottare per impegnarsi a lottare contro ogni forma di
razzismo e di diversità fra le diverse etnie del genere umano, usando
l’enorme potere divulgativo della musica come unico viatico, un’utopia?
No, se solo avete provato ad ascoltare almeno una volta i Dan Reed
Network da Portland.
Una formazione questa, che faceva della diversità il proprio punto di
forza, riunendo sotto un’unica bandiera, un manipolo di ottimi
musicisti provenienti da diverse etnie, e da altrettanti percorsi di
formazione artistica, e che, proprio da questo incontro di background
musicali ed umani alquanto eterogenei, traeva spunto per dare vita ad un
percorso sonoro incentrato su una certa creatività, che li rendeva
unici in campo prettamente musicale, grazie ad una policromia di suoni
totalmente liberi da restrizioni e da preconcetti di sorta, un incrocio
nel quale confluivano elementi che arrivavano in egual misura sia dal
funky, che dal rock più melodico e radiofonico, che dalla black music di
scuola prettamente anni ’70, e che, naturalmente, portavano in dote un
melange di alchimie ritmiche sensuali ed al contempo inebrianti, alle
quali era impossibile sottrarsi.
Già, provate ad immaginare una sorta di collage sonoro che in qualche
modo riesca a raccogliere le influenze esercitate dai vari Prince, Bon
Jovi e Living Colour, ed avrete solo un piccolo immaginario di quello
che si cela dietro al loro primo step discografico dei nostri, un
piccolo capolavoro, prodotto magistralmente dal grande Bruce Fairbrain,
all’epoca vero deus ex machina degli stessi Bon Jovi, l’unico capace
d’infondere il giusto appeal alla grande mole di influenze musicali che
si canalizzava all’interno di queste dieci splendide tracce che, oltre a
poter contare sulla forza trainante di un autentico tormentone da
classifica, il vero capolavoro del disco a nome “Ritual”, un brano
dotato di modulazioni ritmiche e di una verve strumentale davvero
disarmante, provate a guardare il video su youtube, e poi mi saprete
dire, poteva contare su composizioni dal potere esplosivo come ad
esempio l’adrenalinica “I’m so sorry”, brano che in qualche modo
riassumeva al meglio il melange creato dalla band americana, o la più
melodica “Resurrect”, caratterizzata dalle tastiere del maestro Blake
Sakamoto, ex Dear Mr. President, sempre in netta evidenza.
Ed è proprio l’immane lavoro del maestro dai tasti d’avorio, a
caratterizzare il suono della band statunitense, e a spingerla verso
territori sempre più radiofonici, proprio come accade nel caso della
provocante “Human”, o come nel caso di “Rock all night away” che,
invece, si permea attorno a sonorità che conducono ad atmosfere cariche
di un funky rock allo stato puro, ma è proprio quando le atmosfere si
fanno più soffuse che i Dan Reed Network colpiscono al cuore come un
fendente, e se “Alfway around the world”, è semplicemente splendida nel
suo incedere soffuso e delicato, la superlativa “Tatiana”, breve
interluio a cui tocca chiudere alla grande il disco, è un altro fendente
al cuore!!!
Il primo di un trittico fenomenale di dischi al quale seguiranno gli
ottimi “Slam” e, soprattutto, “The Heat”, album che aumenteranno il
grande rimpianto nei confronti di questa geniale formazione che, nel
giro di qualche anno, si perderà nella baraonda di una scena musicale
sempre più asettica ed abulica, lasciando ai posteri qualche raccolta
antologica ed un live di poco conto.
Dan Reed Network, per tanti ma non per tutti!!!!”
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