martedì 4 febbraio 2014

Benny Mardones – S/T (Curb Records, 1989)

Basta, è ora di dire la verità senza più nascondersi dietro neologismi scontati e minimalisti, Berny Mardones è stato uno dei migliori vocalist americani appartenuti alla scena melodica degli anni ottanta, e non dico fesserie, forse se non il migliore, sicuramente uno di quei quattro/cinque cantanti in grado di competere a testa alta con chi, sto pensando ai vari Richard Marx, Micheal Bolton, Eddy Money, ha saputo farsi strada anche nel mondo del più patinato pop rock vendendo anche milioni e milioni di dischi, ma perdendo di strada quell’integrità artistica che il buon Benny, di par suo, ha saputo mantenere inalterata nel tempo. Con una carriera artistica iniziata agli albori dello scorso decennio, il disco di debutto è addirittura del 1980, ed infarcita da collaborazioni di varia natura, ne sa qualcosa il giovane Bonjovi e i suoi Powerstation, l’ex police man proveniente dal distretto del New Jersey, è riuscito nel suo piccolo, a lasciare il segno nell’infinito mondo del music business con pubblicazioni che, anche se non propriamente memorabili e di successo, sono sempre e comunque state oggetto di ogni attenzione anche da parte, se non altro, dei suoi stessi colleghi più famosi.
Il disco omonimo oggetto oggi della nostra disquisizione riassuntiva è forse l’apice proprio di quella maturazione artistica e musicale alla quale facevamo riferimento poc’anzi, un disco al quale partecipano come ospiti, o più semplicemente come session man, tutto uno stuolo di rinomati musicisti che rappresentavano un po’ la crema dell’allora scena melodica americana della grande mela a partire dal grande chitarrista Michael Thompson, ai fratelli Porcaro dei Toto, al rinomato tastierista/compositore Mark Mangold, qui coautore di alcuni brani del disco, al chitarrista newyorkese Duane Evans che partecipa assiduamente alla fase di composizione dei dieci brani del disco, un disco che si muove sinuoso fra sonorità soffuse e morbide, momenti più dinamici e dotati di un certo retaggio hard rock, ed ambientazioni più adulte e pop rock oriented, caratterizzate dalla voce calda e sensuale, una sorta di Lou Gramm meets Micheal Bolton meets David Bickler, di un Berny Mardones sempre e comunque in grado d’incantare l’ascoltatore.

Dieci splendide composizioni degne di ogni fan purista dell’AOR più nobile ed elegante, fra le quali spiccano una manciata di possibili hit che, se riascoltate oggi, fanno addirittura rimpiangere un’epoca che purtroppo, non ritornerà mai più, è il caso questo della pimpante “ Close to the flame” tipico up tempo cromato memore dei Survivor più dinamici e frizzanti degli esordi, con i due Drive, She Said Al Fritsch e Mark Mangold a dividersi completamente la scena, la più ritmata “We’ve got to run” che mostra tutta la grinta e la voglia di fare del vocalist americano che si inerpica su sonorità melodic hard rock che si tingono di mirabolanti rimandi ai Foreigner e Journey, o della reprise di “Into the night” dall’omonimo debutto del nostro vocalist, non è altro che una sorta di omaggio all’ora scomparso Barry Martz produttore, arrangiatore dello stesso disco dell’amico Berny Mardones.

Dall’altra parte “Never really loved you at all” non è altro che il tipico brano dall’appeal radiofonico dalle movenze leggere e delicate, così come “How could you love” è la splendida ballad di turno che serve se non altro a stemprare gli animi in attesa del botto finale che arriva con le splenide “If you loved me” melodic rock song che rasenta la perfezione, e che ricorda molto da vicino le movenze pop dei Chicago del periodo mediano, e dell’AOR enfatizzato di “Never far away” e del suo chorus policromo che ammalia ed accarezza i sensi ad ogni ascolto. Di facile reperibilità, anche se uscito per la piccola indipendente Curb Records, la stessa che all’epoca aveva sotto contratto i christian rockers Petra, l’auto intitolato “Berny Mardones” è uno di quei classici esempi di dischi da recuperare e senz’altro rivalutare e conforntare con la maggior parte di pattume che oggi viene messo in commercio e spacciato come melodic rock, fidatevi.
(Beppe Diana)

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